Pochi metri quadrati attraversati da millenni di storia e dal succedersi di popoli e rispettivi culti e culture, che hanno lasciato le proprie tracce: questa è la Chiesa di San Salvatore di Sinis.
Visitarla significa compiere un piccolo viaggio, a ritroso nel tempo e nella storia dell’Isola.
La piccola chiesa dipinta di bianco fu eretta nella sua forma attuale nel XVII secolo e dedicata a San Salvatore che ancora oggi è celebrato con l’affascinante corsa degli scalzi. Questo luogo era già adibito al culto cristiano già dal V secolo d.C..
Scendendo le strette scalette nel transetto sinistro della Chiesa si accede a un ipogeo complesso, in parte scavato nella roccia e in parte edificato in pietra e arenaria. Ai piedi delle scale si accede a un corridoio con ai lati due camere rettangolari coperte con volte a botte. Lungo il corridoio, così come in quasi tutti i vani dell’ipogeo, è possibile ammirare iscrizioni e disegni di matrice punica, come la ricorrente iscrizione RF (“rufù”=”guarisci” in lingua semitica), ma anche di matrice romana come le scritte in greco e latino, o i disegni raffiguranti navi leoni, diverse figure di donne.
Procedendo nel corridoio si entra in una rotonda coperta a cupola con foro di aerazione centrale. Nel pavimento si trova un pozzo le cui acque, probabilmente ritenute curative, erano il fulcro del culto in epoca nuragica.
Sulla parete del vano centrale compare infine un lungo testo in lingua araba, probabilmente opera dei predoni barbareschi che presero di mira la costa occidentale sarda dapprima nei secoli VIII-X e poi con nuovi forza e vigore nel XVI secolo.